La sera a Sirmione - Foto: Maria Francesca Petrungaro |
Ecco: la verde Sirmio nel lucido lago sorride,
fiore de le penisole.
Il sol la guarda e vezzeggia: somiglia d'intorno il Benaco
una gran tazza argentea,
cui placido olivo per gli orli nitidi corre
misto a l'eterno lauro.
Questa raggiante coppa Italia madre protende,
alte le braccia, a i superi;
ed essi da i cieli cadere vi lasciano Sirmio,
gemma de le penisole.
Baldo, paterno monte, protegge la bella da l'alto
co'l sopracciglio torbido:
il Gu sembra un titano per lei caduto in battaglia,
supino e minaccevole.
Ma incontro le porge dal seno lunato a sinistra
Salò le braccia candide,
lieta come fanciulla che in danza entrando abbandona
le chiome e il velo a l'aure,
e ride e gitta fiori con le man piene, e di fiori
le esulta il capo giovine.
Garda là in fondo solleva la ròcca sua fosca
sovra lo specchio liquido,
cantando una saga d'antiche cittadi sepolte
e di regine barbare.
Ma qui, Lalage, donde per tanta pia gioia d'azzurro
tu mandi il guardo e l'anima,
qui Valerio Catullo, legato giú a' nitidi sassi
il fasèlo britinico,
sedeasi i lunghi giorni, e gli occhi di Lesbia ne l'onda
fosforescente e tremula,
e 'l perfido riso di Lesbia e i multivoli ardori
vedea ne l'onda vitrea,
mentr'ella stancava pe' neri angiporti le reni
a i nepoti di Romolo.
A lui da gli umidi fondi la ninfa del lago cantava
Vieni, o Quinto Valerio.
Qui ne le nostre grotte discende anche il sole, ma bianco
e mite come Cintia.
Qui de la vostra vita gli assidui tumulti un lontano
d'api sussurro paiono,
e nel silenzio freddo le insanie e le trepide cure
in lento oblio si sciolgono.
Qui 'l fresco, qui 'l sonno, qui musiche leni ed i cori
de le cerule vergini,
mentr'Espero allunga la rosea face su l'acque
e i flutti al lido gemono.
Ahi triste Amore! egli odia le Muse, e lascivo i poeti
frange o li spegne tragico.
Ma chi da gli occhi tuoi, che lunghe intentano guerre,
chi ne assecura, o Lalage?
Cogli a le pure Muse tre rami di lauro e di mirto,
e al Sole eterno li agita.
Non da Peschiera vedi natanti le schiere de' cigni
giú per il Mincio argenteo?
da' verdi paschi dove Bianore dorme non odi
la voce di Virgilio?
Volgiti, Lalage, e adora. Un grande severo s'affaccia
a la torre scaligera.
Suso in Italia bella sorridendo ei mormora, e guarda
l'acqua la terra e l'aere.
fiore de le penisole.
Il sol la guarda e vezzeggia: somiglia d'intorno il Benaco
una gran tazza argentea,
cui placido olivo per gli orli nitidi corre
misto a l'eterno lauro.
Questa raggiante coppa Italia madre protende,
alte le braccia, a i superi;
ed essi da i cieli cadere vi lasciano Sirmio,
gemma de le penisole.
Baldo, paterno monte, protegge la bella da l'alto
co'l sopracciglio torbido:
il Gu sembra un titano per lei caduto in battaglia,
supino e minaccevole.
Ma incontro le porge dal seno lunato a sinistra
Salò le braccia candide,
lieta come fanciulla che in danza entrando abbandona
le chiome e il velo a l'aure,
e ride e gitta fiori con le man piene, e di fiori
le esulta il capo giovine.
Garda là in fondo solleva la ròcca sua fosca
sovra lo specchio liquido,
cantando una saga d'antiche cittadi sepolte
e di regine barbare.
Ma qui, Lalage, donde per tanta pia gioia d'azzurro
tu mandi il guardo e l'anima,
qui Valerio Catullo, legato giú a' nitidi sassi
il fasèlo britinico,
sedeasi i lunghi giorni, e gli occhi di Lesbia ne l'onda
fosforescente e tremula,
e 'l perfido riso di Lesbia e i multivoli ardori
vedea ne l'onda vitrea,
mentr'ella stancava pe' neri angiporti le reni
a i nepoti di Romolo.
A lui da gli umidi fondi la ninfa del lago cantava
Vieni, o Quinto Valerio.
Qui ne le nostre grotte discende anche il sole, ma bianco
e mite come Cintia.
Qui de la vostra vita gli assidui tumulti un lontano
d'api sussurro paiono,
e nel silenzio freddo le insanie e le trepide cure
in lento oblio si sciolgono.
Qui 'l fresco, qui 'l sonno, qui musiche leni ed i cori
de le cerule vergini,
mentr'Espero allunga la rosea face su l'acque
e i flutti al lido gemono.
Ahi triste Amore! egli odia le Muse, e lascivo i poeti
frange o li spegne tragico.
Ma chi da gli occhi tuoi, che lunghe intentano guerre,
chi ne assecura, o Lalage?
Cogli a le pure Muse tre rami di lauro e di mirto,
e al Sole eterno li agita.
Non da Peschiera vedi natanti le schiere de' cigni
giú per il Mincio argenteo?
da' verdi paschi dove Bianore dorme non odi
la voce di Virgilio?
Volgiti, Lalage, e adora. Un grande severo s'affaccia
a la torre scaligera.
Suso in Italia bella sorridendo ei mormora, e guarda
l'acqua la terra e l'aere.
Giosuè Carducci
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