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lunedì 30 settembre 2013

La melanconia

Fonti e colline 
chiesi agli dei: 
m’udiro al fine, 
pago io vivrò.
Né mai quel fonte 
co’ desir miei, 
né mai quel monte 
trapasserò. 
Gli onor che sono?
che val ricchezza? 
Di miglior dono 
vommene altier: 
d’un’alma pura, 
che la bellezza 
della natura 
gusta, e del ver. 
Né può di tempre 
cangiar mio fato: 
dipinto sempre 
il ciel sarà. 
Ritorneranno 
i fior nel prato 
sin che a me l’anno 
ritornerà.
Melanconia, 
ninfa gentile, 
la vita mia 
consegno a te. 
I tuoi piaceri 
chi tiene a vile, 
ai piacer veri 
nato non è. 
O sotto un faggio 
io ti ritrovi 
al caldo raggio 
di bianco ciel; 
mentre il pensoso 
occhio non movi 
dal frettoloso 
noto ruscel; 
o che ti piaccia 
di dolce luna 
l’argentea faccia 
amoreggiar, 
quando nel petto 
la notte bruna 
stilla il diletto 
del meditar; 
non rimarrai,
no, tutta sola: 
me ti vedrai 
sempre vicin. 
Oh come è bello 
quel di viola 
tuo manto, e quello 
sparso tuo crin! 
Più dell’attorta 
chioma e del manto, 
che roseo porta 
la dea d’amor; 
e del vivace 
suo sguardo, oh quanto 
più il tuo mi piace 
contemplator!

Ippolito Pindemonte











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